Un Team da Salvare
- giuseppe taranto
- 3 mar
- Tempo di lettura: 7 min

Immaginate un team di almeno cinque persone che lavorano insieme da anni e, fino a quel periodo, anche con un discreto successo. E immaginate che le riunioni di questo team da qualche tempo sembrano le riprese di un film muto in cui uno gesticola senza audio e gli altri annuiscono mentre continuano a lavorare ai loro pc, senza dedicargli la dovuta attenzione.
Immaginate ancora come possano concludersi la maggior parte di queste riunioni, ovvero con tanti buoni propositi e idee che sistematicamente non trovano seguito, lasciando il team impantanato nella stessa situazione della settimana precedente.
Vi sembra un film già visto? È possibile perché rappresenta uno scenario molto comune in tante aziende, dalle aziende ben rodate alle start-up, con collaboratori di alto profilo oppure no, molto specializzati ed esperti nei loro settori o semplici operativi, ma con un unico comune denominatore ovvero diverse difficoltà a gestire un lavoro di gruppo.
E possiamo anche facilmente immaginare che ogni membro del team abbia un approccio diverso durante le riunioni. Magari c’è chi non parla ma comunica il suo disappunto ad ogni parola del relatore attraverso le espressioni facciali e la postura; oppure c’è chi non risponde alle proposte dei colleghi, dando sempre il proprio consenso come se non trovasse mai nulla da aggiungere o modificare, e poi alla fine non porta mai avanti quel lavoro perché, in fin dei conti, non aveva mica detto che gli piaceva così come era stato proposto; altre volte troviamo il personaggio che critica sistematicamente qualsiasi cosa venga messa sul tavolo proprio, per “partito preso” perché non è stata pensata da lui e quindi sicuramente non funzionerebbe, ma al contempo non propone alternative perché tanto sa che i colleghi eseguirebbero male il compito.
Ed è in questo caso che si assiste a una sfilata di bias di vario genere che riuniamo in un gruppo unico che in gergo tecnico chiameremmo “disfunzioni di team”.
Che cosa si intende per disfunzione all’interno di un team?
In generale, parafrasando una definizione da dizionario, una disfunzione indica un cattivo funzionamento di qualcosa che sia un ente, un gruppo di persone o, in senso lato e meno comune, di un oggetto.
In questo caso specifico, vuol dire che le persone che compongono il team hanno un atteggiamento tale che non permettono più il corretto funzionamento del gruppo come tale, hanno quindi un atteggiamento disfunzionale.
Questa variazione nel comportamento che porta a non essere più produttivi, o addirittura ad essere distruttivi, non sempre viene individuata in tempo dal team leader di turno, come anche dai membri stessi del gruppo o dal “grande capo”, per cui c’è la tendenza a sottovalutare la situazione e a pensare che sostituendo un membro del gruppo, più di uno o anche solo il team leader, si possa risolvere tutto subito. Questa innovativa soluzione (c’è dell’ironia in questa affermazione) può essere definitiva o soltanto spostare in avanti un declino inevitabile.
Riassumendo brevemente, il team di lavoro ha alcuni problemi di gestione che non vengono ben individuati, il leader non è in grado di porvi rimedio, la direzione ritiene che modificando uno o alcuni membri (quelli che sembrano essere più “problematici”), o magari aggiungendo altri target “sfidanti” o premi più sostanziosi, le situazioni disfunzionali si risolvano da sole.
Questo è il più comune errore che si possa commettere nella gestione di un team di lavoro bloccato in queste sabbie mobili.
La conseguenza di operazioni di restyling simili (un po’ estremizzata, mi rendo conto, ma vale come esempio) può portare allo smembramento del team, in parte o in toto, spontaneamente da parte dei membri, oppure, nel caso in cui il gruppo resti ancora insieme, alla perdita di terreno nei confronti della concorrenza (che sia un team “rivale” interno o anche un’altra azienda).
Questa situazione catastrofica può essere risolta in qualche modo senza dover licenziare, spostare membri o cambiare team leader?
La risposta è sì (con una buona dose di “dipende da alcune variabili”, che più avanti spiegherò).
In prima istanza c’è bisogno di fare una profonda analisi dell’andamento accedendo a una sincera consapevolezza, ovvero ammettere che le cose non stanno funzionando a causa di uno o più problemi e senza aprire la caccia al colpevole, che non ha alcuna utilità e serve solo ad allontanare le persone ancora più di quanto non siano già lontane.
L’accettazione di essere in difficoltà è un gesto di profonda maturità e intelligenza che il leader o i membri del team possono fare verso se stessi e il loro lavoro.
Generalmente è dal team leader che ci si aspetta questo tipo di iniziativa, perché ha una visione più generale e conosce le individualità meglio dei membri del gruppo stesso. In primis, quindi, bisogna “istruire” il leader su come decifrare i segnali e riconoscere in tempo che sta avvenendo un cambiamento negativo per il gruppo e giocare d’anticipo attuando quelle strategie necessarie per arginare e azzerare le problematiche.
È fondamentale che sia in grado di mantenere un distacco funzionale dal resto del gruppo, non ostentando antipatia inutile, in modo da avere una percezione chiara del tutto e poter prendere la decisione migliore senza paura di commettere favoritismi o viceversa.
Non sarebbe meglio, a questo punto, che il team leader, o il mediatore nelle riunioni, fosse esterno all’azienda?
La risposta più sensata è: dipende.
Nel senso che dipende da tanti fattori, quelle “variabili” che ho accennato sopra.
Queste cosiddette variabili sono riconducibili principalmente alla presenza dell’essere umano nell’equazione, ovvero all’imprevedibilità che hanno le reazioni dell’uomo di fronte a momenti emotivamente impegnativi.
Nel Team Coaching esistono strategie di diverso tipo che permettono di analizzare la situazione e prendere in esame tutta una serie di percorsi da intraprendere per raggiungere l’obiettivo finale, ma queste strategie sono strumenti che potrebbero non essere idonei per alcuni elementi e invece molto adeguati per altri, per cui poi c’è la necessità di conformare tutta la strategia sul caso specifico e in base agli elementi umani con i quali si lavora.
Nel caso in cui il team leader, o chi gestisce le riunioni aziendali, sia interno, come dicevo prima, è decisamente importante che sia capace di mantenere un distacco emotivo per essere il più trasparente possibile nelle valutazioni. E sappiamo che questo tipo di separazione è tanto utile quanto impegnativa da mettere in atto.
Mentre, per un mediatore esterno, che partecipa quasi esclusivamente alle riunioni e lavora singolarmente solo con i membri del team senza vivere a pieno l’azienda, il distacco emotivo è più semplice e quindi la gestione delle dinamiche che servono per risolvere le disfunzioni risulterà più agevole; tuttavia dobbiamo considerare che le persone che non conoscono personalmente questa figura potrebbero avere delle remore ad aprirsi completamente per portare avanti il percorso di miglioramento.
La soluzione che accontenta tutti è quella di lasciare il leader interno, far partecipare alle riunioni il coach esterno e contemporaneamente erogare una formazione completa al team leader tale che gli permetta di lavorare al “risanamento” del team e renderlo nuovamente performante.
La formazione del leader del gruppo di collaboratori sarà incentrato principalmente sull’individuazione delle disfunzioni presenti e poi su come porvi rimedio per portare il gruppo sul sentiero migliore che conduce di nuovo alla cima. Il leader dovrà imparare a riconoscere quelle che sono le cinque disfunzioni di cui ho accennato in precedenza, dovrà essere in grado di capire la loro entità e in che misura intervenire.
La prima di queste problematiche è la mancanza di fiducia quando tra i membri del team si manifestano segnali di insicurezza nei confronti dei propri colleghi e del loro operato, magari assumendo atteggiamenti “auto-protettivi”. Oppure quando uno o più colleghi, invece di intervenire nella discussione oggetto di riunione, si lanciano in considerazioni personali sugli altri membri, fino a far sfociare l’intervento in una lite distruttiva e politica (aziendalmente parlando, s’intende). O magari avviene esattamente l’opposto, ovvero si evita di intervenire proprio per non prendere parte nella discussione scansando il confronto come Neo scansava i proiettili.
Un altro segnale che fa pensare alla nascita di una disfunzione che diluisce enormemente l’azione comune del gruppo verso i propri obiettivi aziendali, si manifesta con la mancanza di impegno di uno o più membri nel portare avanti un’idea decisa dal gruppo al termine di un meeting precedente, e questo accade soprattutto per due motivi: il primo è che non ci si impegna (anche inconsciamente) se non si sta agendo su una propria idea, quindi se non si ha avuto il consenso di tutti per qualsiasi ragione; e l’altro motivo può essere perché non si dispone di tutte le informazioni prima di avviare un progetto e quindi si ha paura di “camminare al buio”, magari proprio perché l’idea non è stata la propria e non sono state fornite ulteriori specifiche che proteggono da un possibile fallimento.
Altro allarme è la mancanza o carenza di responsabilità condivisa, ovvero del sentirsi responsabili anche delle performance dei colleghi, richiamandoli all’ordine qualora si noti una certa lassità nell’assolvere i propri compiti che inevitabilmente porta tutto il team a non completare un lavoro. Generalmente si preferisce non fare la parte del cattivone che richiama il collega proprio per non mettersi in una posizione “politicamente scomoda” (sempre aziendalmente parlando, s’intende), ma nell’ottica del lavoro di squadra questo atteggiamento genera una pressione positiva sia su chi sta svolgendo il lavoro e sia su chi sta vigilando affinché questo lavoro venga completato, e lo fa proprio perché la prossima volta le parti potrebbero essere invertite, e quindi ci si assume la responsabilità di voler fare un buon lavoro.
Ultimo segnale dell’esistenza di una disfunzione, è la cosiddetta disattenzione ai risultati del team, cioè quell’atteggiamento che rende più impermeabili al raggiungimento o meno dei risultati della squadra in favore dei propri. Questo punto è quello più delicato perché si sa che esistono i target personali e quelli del team, ma quando l’attenzione è troppo su quelli personali e troppo poco su quelli del team, allora non ci sarà mai l’equilibrio necessario che permette di lavorare in serenità e trasparenza.
Abbiamo visto (o meglio letto), quindi, quali possono essere le implicazioni sul business che queste problematiche interne portano, ma è importante sottolineare che con una buona guida e un percorso ben strutturato, concentrato sulle singole disfunzioni e sulle singole persone che compongono il gruppo di lavoro, si riuscirà a riportare in alto quel team e permettergli di raggiungere nuovamente tutti gli obiettivi prefissati (e tornare a festeggiare).
Perché si sa, lavorare bene in team è bello...ma vuoi mettere le feste che si fanno quando si raggiunge il target tutti insieme uniti e compatti?



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